
Quello della «globalizzazione» è uno dei pretesti più inefficaci per spiegare il fenomeno dell’aumento esponenziale di (pseudo)anglicismi nella lingua italiana. Per la terza settimana consecutiva, la nostra analisi comparativa dimostra che non esiste paragone tra gli anglicismi disseminati dai mezzi di comunicazione italiani e quelli di Francia, Spagna e Germania. La Repubblica, da sola, ne ha vomitati molti di più (594) che Le Monde, El Mundo e Welt messi insieme (403) nello stesso periodo. Per non parlare poi della disarmante pochezza di chi si illude, letteralmente, che il fenomeno stia avvenendo reciprocamente e che l’italiano sia ugualmente onnipresente nei Paesi di lingua inglese. Recentemente, il distinto linguista Prof. Edoardo Scarpanti ha per esempio liquidato la questione con un sarcastico:

Un commento che, purtroppo, per una persona così metodica e per bene come lui, non si avvicina neanche lontanamente all’interpretazione semantica più generosa possibile della parola «superficialità». E questo perché una simile reductio ad absurdum la si potrebbe usare per qualsiasi cosa e dire che «🇩🇪 IL DIKTAT KITSCH DI OLAF SCHÖLZ NEI LÄNDER DELL’EX DDR (DEUTSCHE DEMOKRATISCHE REPUBLIK) DOVE SI PRODUCONO STRÜDEL E MUESLI È UN VERO E PROPRIO BLITZ», magari con qualche risatina da reti sociali tipo: «allora che dobbiamo dire che il tedesco ci sta invadendo? 🤣🤣🤣».
Semplicemente, basta metter giù i manuali di nozionismo contenenti le tabelle con le ore trascorse in bagno da Ferdinand de Saussure nel biennio 1909-1911, osservare quanti italianismi include il Guardian online nella sua prima pagina (zero, questa settimana, contro i 594 pseudoanglicismi de la Repubblica), e concludere che, a noi, i linguisti belli svegli, tonici e analitici – nei confronti delle cose odierne – piacciono da morire.
Leggi qui i dettagli della ricerca condotta da Campagna per salvare l’italiano.
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