Straniero alla lingua

Il passato, le tracce viventi di altre epoche, bisogna disfarsene, non hanno alcun valore, quello che conta è l’immediatezza, la presunta “utilitàdi Cristina Di Fino*

Io sono un italiano che a scuola ha studiato francese. Alla mia epoca quella era la lingua da studiare, ma oggi sembra che il vento sia cambiato. Siamo entrati dentro un’altra sfera, dentro un altro mondo. Alla radio ho sentito che, alla festa del paese, vi era un’area di street food, poi dei food tour ad orario, non ho capito. Di solito alla festa di paese ci sono tanti banchi, ma davvero cosa sia questo non so. Dovrò consultare un vocabolario, perché internet non sempre è affidabile, però mi fa sentire davvero inadeguato. Io continuo a comprare le Monde Diplomatique, almeno mi tengo informato su quello che succede, su quella parte di mondo che ancora comprendo.

Io sono uno straniero di prima generazione. A casa mia si parlano tre lingue, io che parlavo ai miei in italiano, mio padre che mi parla in iraniano e mia madre mi parla in russo. A scuola parlo in russo con altri compagni che ne sanno qualche parola, così quando non vogliamo farci capire; una delle mie compagne Olga, è di origine polacca, ha imparato un po’ di russo per parlare con la nonna, che viveva al confine con la Russia. Oggi con i compagni, siamo andati dentro un locale nuovo, per mangiare qualcosa insieme, e non abbiamo capito quasi niente di quello che c’era scritto sul menù. C’erano tre opzioni Vip, Premium e Basic, poi c’era lo starter, il donut, il best price, il veal, e così una valanga di parole che il cameriere non aveva tempo di spiegarci. Siamo usciti allora, e siamo tornati al nostro caro vecchio kebab, almeno lì si può vedere cosa ti portano, e sai cosa mangi, non ti viene il mal di testa.

Io sono cresciuto parlando occitano, quando vado al mercato quasi tutti lo parlano, a volte si intercala con l’italiano. A scuola mi hanno detto che è una delle dodici lingue protette dalla Costituzione. Però, a scuola, non ho mai visto nulla di scritto nella mia lingua. L’altro giorno, i professori ci hanno invitato a consultare i programmi di varie Università, che avevano degli Open Day. Ho pensato che fossero università per stranieri, e invece no, erano tutte in Italia. Chissà se c’è anche un corso di laurea in occitano così come avviene in altri paesi…

Io sono uno dei “rientrati”, non so se mi posso sentire solo un cervello. Sono stato dieci anni negli Stati Uniti, il posto mitico degli italiani che si vogliono fare da sé, la terra delle grandi opportunità, di quelli che cercano una seconda vita. Oggi, sui giornali si parla di mobbing sul lavoro, ma io non capisco cosa significa. Eppure direi che sono quasi “padre”- lingua, perché io sogno anche in americano, ogni tanto mi scappa anche un espressione qui e lì, quando sono sovrappensiero. Ho dovuto chiedere ad un collega cosa significasse, in americano i problemi di persecuzione al lavoro si dicono “harrassment”, mobbing è un movimento di pressione di un gruppo, che può venire da diverse parti della società. Non capisco, ho speso così tanto tempo ad imparare, torno nella mia terra, e questo uso delle parole non ha senso. Io non mi ritrovo più, non sono né più lì ma nemmeno qui.

Se lo studioso Zygmunt Baumann fosse ancora vivo, si metterebbe a capofitto a studiare il fenomeno degli anglicismi nella lingua italiana e sono sicura che in poco tempo riuscirebbe anche a creare una nuova parola per definirlo. Ora la sfida e il testimone passa a qualcun altro per continuare a cercare di comprendere quello che succede. Il fenomeno degli anglicismi sicuramente fa parte della liquidità che caratterizza la nostra epoca, ma che ha lavato via anche il significato. C’è una grande incertezza su cosa significhino questi diluvi di parole importate, e messe lì quasi a caso, a volte a suono, altre volte per vicinanza, altre ancora per moda, spesso anche in mezzo ad una frase. In un mondo dove le regole sono liquide, tutto può ondeggiare a seconda della piena o della marea. Succedono a gran velocità fatti inauditi, come se avessero la forza di un monsone mai visto, che, al pari del cambiamento climatico, è un’estremizzazione così rapida e dal potere dirompente. Ma dove si abbatte questo monsone? Sulla casa in cui si abita, la lingua. Questa liquidità non solo porta via il significato ma anche la lingua. E quindi, oltre ai significati, non si ha nemmeno più la possibilità di crearne di nuovi, perché se si distrugge la struttura in grado di creare senso, ci si ritrova muti, dentro una prigione dove non si può comunicare con l’esterno. Gli allarmi lanciati, ma inascoltati, non sono solo da parte dell’accademia della Crusca. Eppure, come certi dissesti idrogeologici, ancora nulla si è fatto. È una delle tante tragedie annunciate, che sta già mietendo le vittime, tra il grande tasso di analfabeti di ritorno.

La cultura e pratica dello scarto, tipica della nostra epoca, sta inglobando anche la lingua. Non solo oggetti e materiali ancora utilizzabili si trasformano in rifiuti, solo per una decisione del singolo e collettiva, ma la stessa pratica viene adottata come filosofia di vita, quindi è applicata qualsiasi sfera dell’azione umana: le persone, gli animali, le piante, le culture, le lingue. Come nella storia del re Mida, qualsiasi cosa che si tocca si trasforma in inutile, in rifiuto.

Il passato, le tracce viventi di altre epoche, bisogna disfarsene, non hanno alcun valore, quello che conta è l’immediatezza, la presunta “utilità”.

Non si considera che la filosofia dello scarto provoca anche un vuoto, che rimane dopo l’immediato, che lascia il nulla a chi viene dopo. In un film profetico, “La storia infinita”, tratto dall’omonimo libro di Michael Ende, quello che più terrorizzava i personaggi, e letteralmente li inghiottiva, sia fisicamente che internamente, era il “Nulla”, avanzava sempre di più, a meno che non si facesse opposizione. Il mondo poi sarà salvato dalla fantasia. Spero che molte persone, con molta fantasia, siano in grado di creare qualcosa di nuovo, che possa riparare i danni e soprattutto non lasci nessuno come straniero alla propria lingua.

*Cristina Di Fino è una viaggiatrice che ha abitato presso diversi popoli e lingue, ed è da sempre in decrescita felice

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