Voglia di essere colonia. Ma di chi e di cosa? (3)

La 3ª parte della nostra analisi sui complessi d’inferiorità degli italiani del secolo XXI verso qualsiasi cosa «British» (cibo a parte). Di Peter Doubt

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[LEGGI LA SECONDA PARTE]

6. Ma in Inghilterra c’è uno stato sociale ottimo.
Sì, come no.
E Bruno Conti è la nuova stella della Roma, e il Presidente del Consiglio in Italia si chiama Aldo Moro.
Bisogna anche aggiornarsi sulle cose, e lo stato sociale in Gran Bretagna è da molti anni ridotto ai minimi termini, spesso con condizioni punitive e storie d’inefficienza e crudeltà sufficienti per ispirare capolavori cinematografici di realismo contemporaneo.
Il Regno Unito è, in maniera crescente, uno dei Paesi più diseguali d’Europa, e dove la povertà sta diventando sempre più rapidamente un tema di emergenza nazionale. Già nel 2017, fece scalpore un rapporto dell’UNICEF che indicava il Regno Unito come uno dei Paesi peggiori del mondo per la povertà infantile (e altri indicatori, tra cui la violenza sessuale sulle minorenni). Le cose sono peggiorate moltissimi negli ultimi cinque anni.
Secondo un rapporto di Trussell Trust UK, l’utilizzo delle foodbanks (luoghi di carità in cui il cibo viene donato a chi ne ha bisogno – se esiste la traduzione in italiano, per favore indicarla nei commenti) è quasi raddoppiato negli ultimi 5 anni. Oltre 2 milioni di persone riescono a dare da mangiare ai propri figli solamente grazie a tali aiuti volontari. Sempre più spesso chi ne usufruisce è gente che lavora, persino infermieri e insegnanti, ma che per colpa di stipendi inadeguati, affiti o mutui proibitivi, nonché montagne di debiti, non ce la fa.
Con l’aumento esponenziale del costo della vita nel 2022, sono persino arrivate le warm banks, luoghi finanziati da diversi enti di beneficenza dove i tanti britannici che non possono permettersi il riscaldamento a casa vanno a trascorrere gratuitamente alcune ore al caldo. Sul serio.



7. Debiti?
Sì, certo. L’intera economia britannica si basa da decenni su denaro virtuale, che si tratti di mutui, prestiti o vari trucchi finanziari, quella che già nel 2007, prevedendo (correttamente) una prossima e gravissima crisi economica, l’autore ed economista Larry Elliott definiva «economia delle cazzate» («Bullshit economy«). I debiti sono parte integrale del tessuto sociale britannico. Appena compi 18 anni le banche insistono nel prendere appuntamento con te per darti una carta di credito e/o un prestito, anche se non lavori, o lavori a tempo parziale, oppure precario (cioè quasi sempre a quell’età). Specie tra i meno anziani, il Regno Unito continua ad essere uno dei Paesi europei con più debiti privati (household debts), e addirittura, fino alla crisi del 2008/9 – quando anche nel resto d’Europa le cose iniziarono a prendere una certa piega – conteneva 2/3 dei debiti privati di tutta l’UE, secondo uno studio di Money Charity con uSwitch. Un rapporto ufficiale del Parlamento britannico indicava che il debito in proporzione al reddito delle famiglie era passato dall’ 85% nel 1997 al 148% nel 2008! In media, un adulto britannico possedeva nel 2006 almeno 4 carte di credito.
Essere in debito in GB è normalissimo. Leggiti la seconda parte di questa serie (il Punto 4, sui debiti universitari). E se si considerano i mutui e affitti stratosferici, si capisce perché è considerato totalmente normale per la gente utilizzare credito per pagare nei pub, dal dentista, per fare la spesa. Poi però arriva il punto di non ritorno.



8. Vabbè, ma almeno hanno governi stabili
Purtroppo non vale neanche più questa affermazione. Era vero, anzi verissimo, fino a pochi anni fa, che i governi britannici fossero generalmente stabili e duraturi. Ed era almeno questo un tema in cui, innegabilmente, i britannici avevano buon gioco a burlarsi della fama mondiale dei continui cambi di governo e dell’instabilità in Italia. Oggi le cose sono cambiate alla grande. Se nei 27 anni tra il 1979 e il 2016 il Regno Unito ebbe 5 Primi Ministri (Thatcher, Major, Blair, Brown, Cameron), solamente negli ultimi 6 anni ce ne sono stati altrettanti (Cameron, May, Johnson, Truss e Sunak), di cui – e forse è un primato mondiale – addirittura tre negli ultimi tre mesi. Questo non per cause fortuite come decessi o infortuni, ma per continue e profonde crisi politiche che stanno dilaniando il Paese.
Solamente 10 o 15 anni fa sarebbe stata inimaginabile l’attuale rissosità di tutto il sistema politico britannico. Le faglie iniziarono con gli scalpiti indipendentisti scozzesi, ma sono poi esplose con il referendum sul Brexit (2016) portando l’intero sistema in fibrillazione con una crisi costituzionale dopo l’altra (tra cui segnaliamo la polemica sospensione del Parlamento nell’Agosto 2019, poi dichiarata illegale dalla Corte Suprema, il dilemma su un nuovo referendum in Scozia, e la crisi permanente in Irlanda del Nord), scandali politici continui, purghe interne ai due maggiori partiti e un clima d’incertezza mai visto prima.
Solamente un confronto tra le sessioni della Camera dei Comuni fino a qualche anno fa e quelle post-2016 rivelano un deterioramento spaventoso (e un aumento di aggressività e caos) nel dibattito politico britannico.
A parte gli anni tremendi del terrorismo irlandese (quando furono assassinati 4 deputati – tra il 1979 e il 1990), nessun deputato britannico aveva mai sofferto un omicidio dai tempi di Re Giorgio V (1922). Ecco, dal 2016 in poi sono stati uccisi i deputati Jo Cox, (deputata laburista, accoltellata da un fanatico di estrema destra), e nel 2021 David Ames (conservatore, pugnalato da un integralista islamico). Si teme che il clima attuale possa portare ad altri spiacevoli episodi.



9. Si ma vuoi mettere i costi della politica in Italia?
Di nuovo, la classe politica italiana non si copre di gloria, ma è stupefacente il continuare a credere che la Gran Bretagna sia un modello da seguire. L’ex PM Liz Truss, in sella solamente per 6 settimana, riceverà ora £115,000 all’anno a vita (a parte lo stipendio da parlamentare e quello accumulato quando era ministra). Un deputato della Camera dei Comuni guadagna attualmente £7000 al mese (l’equivalente di quasi 8000€) più spese. In Italia sono circa 5500€ al mese più spese. Che magari saranno un lusso, ma che non spiegano il vizio italiano di ripetersi tra di loro di essere sempre i peggiori.
Il Regno Unito è l’unico Paese occidentale ad avere una delle due camere legislative (la Camera dei Lord) interamente non eletta. Ci sono oltre 800 membri della Camera dei Lord (il numero varia a seconda dei momenti, non esistendo un limite legislativo), per il quale si tratta della seconda camera legislativa più grassa del pianeta (seconda solo all’Assemlea Popolare della Cina), con costi pazzeschi.
Ma c’è di più. I membri sono un misto di nominati da successivi Primi Ministri per restituire favori e premiare lealtà. Per capire l’andazzo, tra i 20 maggiori donatori al Partito Conservatore dal 2010, 11 sono stati nominati Lord. L’ex PM Boris Johnson ci ha inserito suo fratello Jo e il padre Stanley. Vi rendete conto? Immaginate Berlusconi o Grillo che nominano (non che li fanno eleggere, li nominano) a parlamentari un fratello e il padre.
E prima che qualcuno inizia gridare destra/sinistra, non è esclusiva dei conservatori. Le cose non andavano certo meglio durante i 13 anni di governi laburisti. Nel periodo 1997-2010, Blair e Brown nominarono 408 Lord. Tra questi figuravano amici di scuola di Blair, ex-compagni di casa dei tempi dell’università, nonché ovviamente i suoi lacchè più leali durante i suoi anni al governo e finanziatori vari del Partito Laburista. Se non bastasse, la Camera dei Lord si completa con 92 duchi, baroni e visconti seduti lí (quando ci vanno, l’assenteismo è endemico) per motivi ereditari, ovvero per privilegi di nascita, e una spruzzata di circa 25 vescovi nominati a vita della Chiesa anglicana. Regno Unito culla della democrazia? Ma fate il favore.


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[CONTINUA CON LA QUARTA PARTE (ancora non pubblicata)]

*L’autore Peter Doubt è un traduttore/interprete (spagnolo-inglese-italiano) con doppia cittadinanza britannica e italiana. Ha vissuto in Inghilterra fino ai 29 anni.

Voglia di essere colonia. Ma di chi e di cosa? (2)

La 2ª parte della nostra analisi sui complessi d’inferiorità degli italiani del secolo XXI verso qualsiasi cosa «British» (cibo a parte). Di Peter Doubt*.

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L’adorazione italica verso qualsiasi cosa «British» non conosce limiti.
Continuiamo con la nostra converseiscion virtuale con l’anglomaniaco medio dell’Italia del sec.XXI.

3. D’accordo, il crimine e gli inglesi ubriaconi, però lí le persone hanno un’educazione molto migliore. Vuoi mettere con le scuole e le università italiane?
Di nuovo, i complessi d’inferiorità.
Quanti italiani conoscono lo stato fatiscente delle scuole d’oltremaniche? Sanno che per raccogliere i fondi per riparare tetti e finestre è di costume organizzare lotterie e sorteggi a premi («raffles«, le chiamano) tra le famiglie?
Per non parlare dei continui episodi di ultraviolenza scolastica riportati con sempre più frequenza, con aggressioni a professori ormai considerate ordinarie, con il risultato che il livello di stress degli insegnanti (e dunque di abbandono della professone) continua ad aumentare di anno in anno?
Nel 2016, un’analisi pubblicata dal sindacato Unison, rivelò che il 53% di assistenti educativi («Teaching Assistants«) in Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord ha sofferto aggressioni fisiche da parte di studenti. Nell’Ottobre del 2022, l’associazione dei presidi scolastici ha fatto un appello per fermare l'»esodo» degli assistenti educativi. Un titolo del Guardian riportava: «Assistenti educativi lasciano le scuole per lavorare nei supermercati a causa di stipendi barzelletta«.
Nel 2019, uno studio di Education Support indicò che il 78% del personale educativo del Regno Unito soffre di problemi mentali o fisici dovuti al lavoro.
Nel 2021/22 la percentuale di abbandono del lavoro da parte di maestri e professori è aumentata del 12,4% rispetto al 2020/21.

4. Sí, ma le università sono ottime.
Sono rinomatissime, questo sì. Ma andiamo oltre giudizi superficiali, obsoleti, e distorti.
Fino all’anno 1998 le università britanniche erano gratis. Poi – a parte la Scozia – fu introdotta la retta di £1,000 all’anno, per tutti. Nel 2004 il governo di Tony Blair le triplicò (£3000 all’anno), e nel 2010 la coalizione Conservatori/LibDems (questi ultimi dopo aver fatto campagna elettorale promettendo di abolirle) le portò a livelli pazzeschi: £9000 all’anno. Oggi la tariffa annuale è di £9250, cioè circa 10700€ (ve lo immaginate anglomani italiani?).
Alla grande maggioranza degli studenti vengono concessi facili prestiti per potersi iscrivere, con quantità facilmente aggiunte per altre spese (per esempio discoteca, feste e compere).
Sono cifre senza eguali in nessun Paese europeo. E, con l’eccezione delle rinomate università di Oxford e Cambridge (e determinate facoltà specializzate in altre università), si tratta spesso di corsi di qualità spesso molto discutibile. Ripetere esami nelle università britanniche è praticamente impossibile. A parte l’eccezionale permissivismo, nessuna università – disperate come sono per accaparrarsi quanti più alunni paganti possibili – vuole farsi un cattivo nome con percentuali proibitive di promozioni.
In generale per i ragazzi britannici è una esperienza divertentissima. È tradizione andare all’università in un’altra città, con il risultato che, da un giorno all’altro, migliaia di diciottenni o diciannovenni cedono alla tentazione di feste, festini e ubriacate varie (ovviamente finanziate a suon di prestiti e carte di credito, ne parleremo tra qualche giorno), organizzate spesso con tecniche commerciali eccezionali. Uno dei riti consiste nelle ubriacature, risse e vomitate industriali durante la settimana del debutto all’università (Fresher’s Week). L’esperienza accademica del tipico studente britannico è più ClubMed che L’Attimo Fuggente, per quanto agli italiani piaccia pensare ai campus d’oltremanica nello stile un po’ magico e un po’ austero di Harry Potter.
Nel frattempo, il risultato consiste in livelli esorbitanti di debiti privati accumulati (che non verranno quasi mai interamente ripagati) che sarebbero inimmaginabili altrove già all’età di 18,19 anni. In Inghilterra, un tipico laureato di 21 anni si trova tranquillamente con £45,000 di debiti sulle spalle. Una prospettiva allettante, per una laurea che probabilmente gli servirà per lavorare al servizio clienti della Vodafone. Nel frattempo, dato che a causa degli esigui redditi dei laureati, 3/4 di questi prestiti non verranno mai ripagati (cifre ufficiali), il buco finanziaro a carico dei contribuenti cresce, alla faccia di chi diceva – quando furono introdotte le tasse universitarie – che non è giusto che sia il cittadino britannico medio a farsi carico dell’educazione universitaria di un giovane.



5. Vabbè, ma io mi riferivo ai servizi pubblici. Lì sono migliori che in Italia.
Durante la campagna elettorale del 1997, il Partito Laburista ambiva ad appuntamenti con il medico di famiglia entro 48 ore. Per darvi una idea di come le cose siano peggiorate, guardate la promessa di Liz Truss, durante le elezioni primarie dell’estate 2022, di poter vedere il proprio medico entro un massimo di due settimane. Avete capito bene. L’ambizione attuale è di ridurre l’attesa per un appuntamento con il medico di famiglia a due settimane.
Non parliamo poi delle liste d’attesa per specialisti e/o operazioni. Ci sono buone ragioni per le quali il pietoso stato attuale del NHS (il sistema sanitario britannico) da qualche anno formi parte di qualsiasi dibattito politico del Regno Unito.
E che dire dei malcapitati ai quali, dopo 6, o magari 9, o anche 12 mesi d’attesa, è toccato un appuntamento con uno specialista (o un’operazione non urgente) in data 19 settembre 2022, giorno del funerale di Elisabetta II? Quanti mezzi di stampa italiani
hanno riportato la notizia della cancellazione di tutte le operazioni e appuntamenti medici come segno di rispetto per la monarca?
Eppure gli italiani vogliono essere colonia di un Paese dove succedono queste cose.



6. Sì, ma io mi riferivo ai treni. Fatti un giro su un treno italiano.
L’ho fatto. In varie occasioni. E in generale non è stata una bella esperienza. Ma almeno non ho speso le cifre esorbitanti che è tipico sborsare per i treni di Sua Maestà per servizi orrendi. Sono ormai pochissimi a dubitare, a destra e a sinistra, che l’operazione svendita di British Rail a metà degli anni ’90 sia stata un fallimento totale. Tra continui ritardi, servizi ridotti, cancellazioni, treni affollati, somme che deve versare continuamente lo Stato per sostenere servizi privatizzati e, soprattutto, biglietti con cifre da capogiro, anche lí l’Italia può stare tranquilla. Non ha nulla da invidiare al Paese della «lingua superiore».

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*L’autore Peter Doubt è un traduttore/interprete (spagnolo-inglese-italiano) con doppia cittadinanza britannica e italiana. Ha vissuto in Inghilterra fino ai 29 anni. Vive in Spagna da 15 anni

Voglia di essere colonia. Ma di chi e di cosa? (1)

L’adorazione italica verso qualsiasi cosa ‘British’ analizzata ai raggi X. 1ª Parte. Di Peter Doubt*.

È ovvio che la questione della crescente proliferazione di (pseudo) anglicismi in sostituzione dell’italiano nel secolo XXI abbia chiari risvolti paralinguistici. Basta guardare un qualsiasi giornale o rivista italiana per rendersi conto dell’assurda ossessione anglofila dei mezzi di comunicazione dell’Italia di oggi (e dunque, ne consegue, dell’italiano medio).

Questa serie di articoli si occuperà dei deliri onanistici indotti da qualsiasi cosa abbia origine nel Regno Unito (specialmente in Inghilterra), lasciando per il momento da parte l’ancora più ovvia devozione italica per gli Stati Uniti.

La recente scomparsa a reti unificate della monarca Elisabetta Windsor, al netto del cambio epocale marcato dalla dipartita di un capo di Stato dopo 70 anni, ci ha fatto toccare con mano l’autentica #vogliadiesserecolonia presente in Italia e l’abitudine fin troppo consolidata di elevare a livelli quasi mitici qualsiasi cosa dal vago sapore britannico.

Per qualche ragione, gli italiani hanno deciso – e sembrano farlo in maniera crescente – che persino le scorregge prodotte in Gran Bretagna siano più efficienti, più profumate, più «trendy», più «cool», e più degne di godere di un eco mediatico che erra tra il positivo, il curioso e l’invidioso. Voglia di essere colonia, appunto. Ne è prova il fatto che lo stesso non accada – salvo rare eccezioni – con notizie e avvenimenti da Paesi non anglofili, si tratti di cambi di governo, scandali vari, eventi, famiglie reali e altro. Un esempio scemo? Quando è morta Angela Lansbury, la «Signora in Giallo«, Rete 4 ha fatto il cartello «Grazie, Angela».
Non fecero lo stesso quando morì Horst Tappert (l’ispettore Derrick) o persino miti nazionali quali Raffaella Carrà o Paolo Rossi.

E allora. Perché gli italiani considerano il Regno Unito un Paese superiore? Da dove deriva questa attitudine zerbinesca, questa illusione distorta e spesso completamente obsoleta o sbagliata? Si badi bene che questo articolo non ha alcuna pretenzione nazionalista o di presunta superiorità italica. Non è nostro desiderio stilare classifiche tanto puerili come inutili (e tra l’altro soggettive), né negare che problemi di portata enorme siano presenti alla grande – ALLA GRANDE – anche in Italia. Semplicemente chi scrive trova ingiustificati i complessi d’inferiorità italiani verso qualsiasi cosa d’oltremanica.



1. «British» è sinonimo di calma e flemma.
Per qualche motivo, gli italiani hanno deciso di non assorbire cognitivamente i livelli industriali di aggressività, teppismo e inciviltà esportati dai britannici durante gli ultimi decenni. Dalla strage dell’Heysel e il fenomeno degli hooligans (inclusi, tra tantissimi episodi, la finale di Atene ’07, gli Europei 2020, o la finale dell’Europa League 2022) alle statistiche sempre peggiori sull’ultraviolenza in stile Arancia Meccanica (ultraviolence e A Clockwork Orange nella versione originale) nei centri urbani del Regno Unito, dal nesso tra abuso di alcol e violenza domestica (vera propria piaga nazionale) alle sempre più frequenti immagini indecorose di casino totale nella Camera dei Comuni, o ai comportamenti da belve selvagge sulle reti sociali, in realtà relazionare la parola «British» a un concetto di calma e comportamenti civili sarebbe come identificare la parola «siberiano» per definire temperature tropicali. Patetico, appunto.
Eppure gli italiani lo fanno. Non i tedeschi, non i francesi. Certamente non gli spagnoli, i quali conoscono fin troppo bene i comportamenti «British» dei turisti d’oltremanica (coniando le espressioni turismo da borrachera, turismo da ubriachi, e balconing, per descrivere la condotta idioticamente vandalica da parte di troppi turisti britannici in posti come Mallorca, Ibiza, Salou, Magaluff, Benidorm, ecc).
Per qualche motivo, l’italiano medio continua ad associare la gente «British», cioè i britannici, alla bombetta, i gentiluomini e la flemma, non importa quante violenze negli stadi, acidi buttati su vittime da scippo o stupri di poliziotti.

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2. Ma non c’è paragone con il crimine in Italia. Le città britanniche sono tranquille. Io a Luglio sono stato in un villaggio sulla costa della Manica ed era così pacifico!
Questo è il problema. Una settimana, due, o tre, da turista in posti da cartolina non rappresenta nulla. Il villaggetto pittoresco, specie se vissuto sporadicamente, non rappresenterà mai la vita quotidiana di un Paese.
Né ci si può aspettare che siano giornalisti e corrispondenti vari a mostrarla in maniera esaustiva, dato che troppo spesso vivono (non per colpa loro) in una realtà asettica, privilegiata, al 95% focalizzata nelle zone nevralgiche di Londra, concentrati sulle notizie relativa alla famiglia reale, dibatitti politici, celebrità, attori, e poco altro.
Certo, solo un imbecille negherebbe che l’Italia abbia problemi serissimi con la criminalità e con il crimine organizzato, specialmente in certe zone e in certi centri urbani, ma è falso credere che la Gran Bretagna sia un’oasi di pace e tranquillità. Si provi a studiare la realtà in una qualsiasi città britannica, specialmente in determinati quartieri. In ordine sparso, Birmingham, Liverpool, Glasgow, Hull, parti importanti di Londra, Sheffield, Greater Manchester. Tra squallore urbano, violenza quotidiana e gruppi criminali organizzati, da 30 anni a questa parte c’è stato un deterioramento totale della sicurezza nazionale (e certamente della percezione di insicurezza).
Non aiuta neanche l’impianto urbanistico tipico delle città britanniche, dato che le numerosissime zone dormitorio (dove si susseguono chilometri e chilometri di file di case senza alcuna vita sociale) sono il canale perfetto per alienazione, isolamento ed episodi di teppismo brutale. Londra a parte (parzialmente), le grandi città britanniche sono caratterizzate da interi quartieri dove negozi, ristoranti, pub, edifici di interesse pubblico e zone di ritrovo sono tutti concentrati esclusivamente in un viale principale (la «high street«) da cui si diramano chilometri di strade, spesso illuminate pochissimo, con case e nient’altro.
Il libro «Yob Nation – The Truth About Britain’s Yob Culture» (Nazione teppista – La verità sulla cultura teppistica della Gran Bretagna) dell’autore Francis Gilbert (edizioni Portrait), già nel 2006 analizzava la crescente violenza e brutalità di cui è intrisa in cui la società britannica, a tutti i livelli. Il libro «Tescopoly» di Andrew Simms (2007, Constable) faceva riferimento ai centri commerciali e la grande distribuzione (per esempio la catena di ipermercati Tesco) come ormai i restanti punti focali di «socializzazione» e «calore umano», tra virgolette, in una società britannica sempre più atomizzata e basata sull’isolamento individuale.



[CONTINUA]

*L’autore Peter Doubt è un traduttore/interprete (spagnolo-inglese-italiano) con doppia cittadinanza britannica e italiana. Ha vissuto in Inghilterra fino ai 29 anni. Vive in Spagna da 15 anni