«Ma non hai capito che la globalizzazione…?»

Analisi comparativa di Campagna per salvare l’italiano. Settimana 3 (04-10 Dicembre 2021)

Quello della «globalizzazione» è uno dei pretesti più inefficaci per spiegare il fenomeno dell’aumento esponenziale di (pseudo)anglicismi nella lingua italiana. Per la terza settimana consecutiva, la nostra analisi comparativa dimostra che non esiste paragone tra gli anglicismi disseminati dai mezzi di comunicazione italiani e quelli di Francia, Spagna e Germania. La Repubblica, da sola, ne ha vomitati molti di più (594) che Le Monde, El Mundo e Welt messi insieme (403) nello stesso periodo. Per non parlare poi della disarmante pochezza di chi si illude, letteralmente, che il fenomeno stia avvenendo reciprocamente e che l’italiano sia ugualmente onnipresente nei Paesi di lingua inglese. Recentemente, il distinto linguista Prof. Edoardo Scarpanti ha per esempio liquidato la questione con un sarcastico:

Schermata, si può dire in italiano, di un commento su «La Lingua Batte», Facebook, 15/12/2021

Un commento che, purtroppo, per una persona così metodica e per bene come lui, non si avvicina neanche lontanamente all’interpretazione semantica più generosa possibile della parola «superficialità». E questo perché una simile reductio ad absurdum la si potrebbe usare per qualsiasi cosa e dire che «🇩🇪 IL DIKTAT KITSCH DI OLAF SCHÖLZ NEI LÄNDER DELL’EX DDR (DEUTSCHE DEMOKRATISCHE REPUBLIK) DOVE SI PRODUCONO STRÜDEL E MUESLI È UN VERO E PROPRIO BLITZ», magari con qualche risatina da reti sociali tipo: «allora che dobbiamo dire che il tedesco ci sta invadendo? 🤣🤣🤣».
Semplicemente, basta metter giù i manuali di nozionismo contenenti le tabelle con le ore trascorse in bagno da Ferdinand de Saussure nel biennio 1909-1911, osservare quanti italianismi include il Guardian online nella sua prima pagina (zero, questa settimana, contro i 594 pseudoanglicismi de la Repubblica), e concludere che, a noi, i linguisti belli svegli, tonici e analitici – nei confronti delle cose odierne – piacciono da morire.
Leggi qui i dettagli della ricerca condotta da Campagna per salvare l’italiano.

La «febbre anglo», un fenomeno molto italiano: il nostro studio comparativo lo conferma

Una delle giustificazioni più pigre e superficiali circa il crescente abuso di (pseudo) anglicismi nella lingua italiana consiste nel dire che «tutte le lingue fanno così» (Vera Gheno). Addirittura, facendo un po’ di confusione tra etimologia e prestiti integrali di uso attuale, il Professor Edoardo Scarpanti, autore di Elementi di linguistica generale e applicata, arriva a scrivere che la lingua inglese conterrebbe addirittura «oltre l’80% di lessico straniero«, per cui «quindi l’italiano è minacciato da uno zombi?».
Ci sono poi coloro che minimizzano dicendo che «il contatto si limita a strati del lessico superficiali» e, coloro i quali, mostrando una disarmante mancanza di senso di proporzione, volume e tempi, liquidano il tutto scrivendo che «anche gli inglesi e gli americani dicono pasta e pizza, baldacchino***, maestro e chiaroscuro» (vedi qui).

Campagna per salvare l’italiano – Analisi comparativa di anglicismi su portate di giornali europei (6-12 Nov 2021).


Pare dunque che né il buon senso, né la semplice osservazione di quello che sta accadendo da 15 o 20 anni a questa parte, siano sufficienti. Ci sono persino linguisti di professione che sminuiscono la portata del preziosissimo lavoro di Antonio Zoppetti (autore di Diciamolo in italiano), che ha registrato la crescita esponenziale di anglicismi nei dizionari italiani durante gli ultimi decenni. Di solito spaccano il capello in quattro sul fatto che i neologismi in inglese puro assorbiti dall’italiano costituiscano il 50%, il 42% o il 25%, come se la tendenza non fosse comunque chiara anche a un infante.

E dunque, nel tentativo di svegliare i linguisti d’Italia da questo stupefacente binomio (o dovremmo dire mix) di torpore e dissonanza cognitiva, Campagna per salvare l’italiano ha deciso di optare per la prova più diretta, la più verificabile quotidianamente, giornalmente, adesso, dal vivo, anzi live, come ormai si dice nell’Italia dell’itanglese.
Abbiamo preso quattro quotidiani di simile stile, contenuti e tiratura delle quattro grandi nazioni dell’ Europa dell’Ovest: la Repubblica (Italia), Le Monde (Francia), El Mundo (Spagna) e Welt (Germania). Abbiamo contato il numero di anglicismi presenti ogni giorno sulla loro portata (o Home Page, nell’Italia dell’itanglese). A questi abbiamo affiancato una quinta testata, The Guardian (Regno Unito) per poter registrare la presenza di italianismi presenti.

La tabella qui sopra mostra il risultato della prima settimana d’analisi.
In una settimana, ci sono stati 644 anglicismi puri su la Repubblica contro 3 italianismi puri (e 1 solo francesismo) sul Guardian. È davvero surreale vedere linguisti di professione illudersi che le due cose possano esser messe sullo stesso piano. Gli italianismi nella lingua inglese esistono, e sono molti, ma sono a) quasi sempre confinati ad ambiti estremamente specifici (per esempio, musica classica o lirica, gastronomia italiana) b) sono arrivati e si sono insediati nella lingua inglese molto gradualmente, nel corso di secoli e secoli.

Alcune considerazioni sulla metodologia in uso:

1. La nostra rilevazione mantiene un approccio molto generoso verso la Repubblica. Non abbiamo contato anglicismi che consideriamo completamente radicati nella lingua italiana, ad esempio, sport, internet e tennis, parole che invece – per esempio – hanno un loro corrispettivo in spagnolo (ed infatti El Mundo si riferisce a deporte, la red e tenis).

2. Non includiamo anglicismi il cui corrispettivo nelle quattro lingue d’origine (italiano, francese, spagnolo, tedesco) è inesistente o completamente artificiale. Parole come podcast, rugby, apartheid e blog, per esempio, non fanno parte della rilevazione.

3. Le testate francesi e spagnoli (quelle tedesche in misura minore) hanno ancora l’abitudine di mettere gli anglicismi tra virgolette. Gli abbiamo contati ugualmente e inclusi nelle analisi, anche se – con il virgolettato – si potrebbe sostenere che in questa maniera non si tratti di prestiti integrali ma di referenza a termini nella lingua d’origine.

4. In qualsiasi caso NON abbiamo incluso nomi propri (esempio, Rolling Stones, Fridays For Future, Alec Baldwin) e titoli originali di film (per esempio Cry Macho), programmi TV (per esempio Squid Game), canzoni, eventi (WTA Finals, Champions League) e marchi registrati (iPhone, Apple, Facebook), ecc.

5. Se una stessa parola appare due volte nello stesso pezzo o titolo, viene computata solo una volta. Se riappare in un altro articolo, titolo o posizione diverse della testata, viene contata di nuovo. Questo ha penalizzato particolarmente il quotidiano tedesco Welt, che sembra riciclare continuamente didascalie con inglesismi (Live TV, Newssticker, Brand Story, ecc.).

6. Unità semantiche contenenti due o più parole, per esempio Italian Tech in la Repubblica, Brand Story in Welt o fiscal dumping in El Mundo, vengono rilevate come un solo elemento. Abbiamo invece rilevato separatamente, due parole autonome però usate insieme, per esempio Green & Blue in la Repubblica (dove abbiamo contato sia Green che Blue).

7. Non abbiamo incluso i prestiti integrati, con la «t». Per esempio, ciberdelincuencia, in spagnolo, o le wokisme in francese sono adattamenti. Non lo sono invece «cybercrimine» o «cultura woke«, che quindi sono stati rilevati.

8. Riguardo al Guardian, abbiamo registrato sia i prestiti integrali in italiano che nelle altre lingue. Per la cronaca, durante l’intera settimana, sono stati pochissimi: gli italianismi diva, sanità e camorra, e gli altri forestierismi biryani dall’hindi, junta e latino (nel senso etnico), dallo spagnolo, e banlieu dal francese.

***Provate a chiedere a un inglese o americano se conoscono baldacchino. Poi diteci come è andata.

Sull’autore:
PETER DOUBT, Traduttore, interprete
BA MA University of Birmingham (GB); DELTA The British Council, Berlino, Germania.