Accademia della Crusca o Becchini della lingua italiana?
[articolo parodia]
«Alcuni lettori ci chiedono informazioni a proposito del forestierismo green.
Il sostantivo green, entrato ormai da tempo nel lessico italiano tanto da essere registrato nel Dizionario #Vogliadiesserecolonia già dall’anno 2006 è uno dei forestierismi più difficili da tradurre.
Proveniente dal germanico ecc…[segue filippica di 750 paragrafi dall’effetto ubriacante – NdR.]
Va infatti detto che, sebbene in italiano esistano parole simili, stanno tutte diventando obsolete [anche grazie alla nostra passività, – NdR].
Per cui dall’Accademia della Crusca, ora procederemo a spiegare e certificare perché alla fine green si stia utilizzando sempre di più [lungi dal promuovere qualsiasi azione che possa rafforzare l’italiano e promuoverne l’uso, come alternativa all’abuso imperante di [pseudo]anglicismi – NdR].
Alcuni lettori suggeriscono che il vecchissimo «verde», che qualcuno ricorderà ancora utilizzato verso la fine del XX sec, andrebbe bene. Purtroppo però, se usato in una traduzione, «verde» può confondere i lettori italiani, ormai abituati a green.
Si pensi a green chic per esempio, o prodotto green. Assolutamente intraducibili [ha ha- NdR].
Green ha una struttura molto più complessa [leggi = è superiore perché è inglese – NdR]. Si pensi agli altri significati, come per esempio [più o meno eh, perché l’italiano non rende tanto quanto il flessibilissimo e superiore inglese – NdR] ecologico, ecologista e ambientale. Persino immaturo e fresco, dipendendo dai contesti. Tali sfumature linguistiche possono portare a confusione e ambiguità, per cui chiaro che trionfa green, che è molto più elastico.
Tra l’altro le parole suddette sono ormai poco comprese dagli italiani [lo sentenziamo noi senza spiegare il perché – NdR], per cui volete mettere? Una parola sola con 12 significati contro le imprecisioni di definizione nei termini derivati? E allora, un sol colpo e BAM!!! Abbattute a schiaffoni d’itanglese verde, ambientale, ambientalista, ecologista, ecologico, ecologia, ambiente, natura, e altri. Come lokeiscion, sterminatore di luogo, posto, ambientazione, spazio, posizione, luogo [e finanche quasi carta igienica – NdR]. O smart, che ormai si usa anche per dire che ammazza che lucida che sta la nonna a 90 anni. Tutti esempi di vero arricchimento linguistico.
Ed eccoci qui, pronti per certificarlo, ricordando ai lettori che la Crusca non boccia né promuove, si limita semplicemente a descrivere.
Quando una lingua diventa incapace di esprimere concetti senza appoggiarsi a un’altra retrocede a dialetto.
Uno dei nostri amici e lettori ha indicato un altro esempio di dialettizzazione dell’italiano. Di questi tempi va di moda un concetto nato in Giappone, 森林浴, «Shinrin Yoku«.
In Italia ha fatto irruzione con il termine inglese, «Forest Bathing», riportato in maniera bulimica dai media nazionali. Guardate come una delle supercazzole più frequenti degli anglomaniaci, quella secondo cui la valanga di [pseudo]anglismi sia dovuta alle creazioni o invenzioni del mondo angloparlante (cioè addio traduzioni), si rivela – appunto – una supercazzola.
Perché non esiste alcuna altra spiegazione, a parte #vogliadiesserecolonia, anglo-onanismo, e la conseguente retrocessione dell’italiano a dialetto (un vernacolo che tra qualche decennio servirà solo per chiedere alla nonna se il sugo è pronto), per giustificare l’importazione di un concetto giapponese, in Italia, in lingua inglese.
Ma ecco che si ode l’altra supercazzola, quella del così-fan-tutti, è-la-globalizzazione. Eppure «Forest Bathing» in Francia viene reso con Sylvothérapie, in Spagna con baño de bosque, in Portogallo con banho de floresta, in Germania Waldbaden.
In Italia no. La lingua italiana si sta indebolendo a tal punto che qualsiasi concetto nuovo o importato, persino da una lingua terza, non riesce ad essere assorbito, di riflesso viene reso solo e soltanto nella «Lingua Superiore», l’inglese.
Gli esempi più ovvi sono quelli della pandemia, dove concetti non assolutamente di origine anglosassone – e che infatti tutti i Paesi hanno espresso istintivamente nella loro lingua – in Italia sono stati resi in inglese, vero o farlocco: lockdown, green pass, droplet, hub, drive-in covid, covid manager, cluster, recovery fund e tanti altri.
Lo ripeteremo fino alla nausea: è stupefacente come questa rapida atrofizzazione dell’italiano, questa incapacità di creare e di aggiornarsi, questa dipendenza sempre più patologica dalla lingua [pseudo]inglese stia avvenendo tra il disinteresse più totale.
L’attuale profonda incertezza economica, tra guerre, inflazioni e imprese che cadono come birilli, non è nulla in confronto – secondo i nostri brillanti media – all’importanza dell’autobiografia del Principe Harry Windsor, appena pubblicata.
La nostra cinica lente linguistica ci suggerisce di fare un giochino chiamato #vogliadiesserecolonia. È dedicato a tutti gli anglo-onanisti che si nascondono dietro le supercazzole quali «fanno-tutti-così» e «l’-abuso-dell’-inglese-è-inevitabile-è-dovuto-al-digitale-e-la-tecnologia«.
Guardate le edizioni in (ordine sparso): tedesco, portoghese, spagnolo, italiano, francese e rumeno. Quella britannica è la foto grande a destra.Vediamo se riuscite a indovinare qual è l’edizione italiana.
La 3ª parte della nostra analisi sui complessi d’inferiorità degli italiani del secolo XXI verso qualsiasi cosa «British» (cibo a parte).Di Peter Doubt
6. Ma in Inghilterra c’è uno stato sociale ottimo. Sì, come no. E Bruno Conti è la nuova stella della Roma, e il Presidente del Consiglio in Italia si chiama Aldo Moro. Bisogna anche aggiornarsi sulle cose, e lo stato sociale in Gran Bretagna è da molti anni ridotto ai minimi termini, spesso con condizioni punitive e storie d’inefficienza e crudeltà sufficienti per ispirare capolavori cinematografici di realismo contemporaneo. Il Regno Unito è, in maniera crescente, uno dei Paesi più diseguali d’Europa, e dove la povertà sta diventando sempre più rapidamente un tema di emergenza nazionale. Già nel 2017, fece scalpore un rapporto dell’UNICEF che indicava il Regno Unito come uno dei Paesi peggiori del mondo per la povertà infantile (e altri indicatori, tra cui la violenza sessuale sulle minorenni). Le cose sono peggiorate moltissimi negli ultimi cinque anni. Secondo un rapporto di Trussell Trust UK, l’utilizzo delle foodbanks (luoghi di carità in cui il cibo viene donato a chi ne ha bisogno – se esiste la traduzione in italiano, per favore indicarla nei commenti) è quasi raddoppiato negli ultimi 5 anni. Oltre 2 milioni di persone riescono a dare da mangiare ai propri figli solamente grazie a tali aiuti volontari. Sempre più spesso chi ne usufruisce è gente che lavora, persino infermieri e insegnanti, ma che per colpa di stipendi inadeguati, affiti o mutui proibitivi, nonché montagne di debiti, non ce la fa. Con l’aumento esponenziale del costo della vita nel 2022, sono persino arrivate le warm banks, luoghi finanziati da diversi enti di beneficenza dove i tanti britannici che non possono permettersi il riscaldamento a casa vanno a trascorrere gratuitamente alcune ore al caldo. Sul serio.
7. Debiti? Sì, certo. L’intera economia britannica si basa da decenni su denaro virtuale, che si tratti di mutui, prestiti o vari trucchi finanziari, quella che già nel 2007, prevedendo (correttamente) una prossima e gravissima crisi economica, l’autore ed economista Larry Elliott definiva «economia delle cazzate» («Bullshit economy«). I debiti sono parte integrale del tessuto sociale britannico. Appena compi 18 anni le banche insistono nel prendere appuntamento con te per darti una carta di credito e/o un prestito, anche se non lavori, o lavori a tempo parziale, oppure precario (cioè quasi sempre a quell’età). Specie tra i meno anziani, il Regno Unito continua ad essere uno dei Paesi europei con più debiti privati (household debts), e addirittura, fino alla crisi del 2008/9 – quando anche nel resto d’Europa le cose iniziarono a prendere una certa piega – conteneva 2/3 dei debiti privati di tutta l’UE, secondo uno studio di Money Charity con uSwitch. Un rapporto ufficiale del Parlamento britannico indicava che il debito in proporzione al reddito delle famiglie era passato dall’ 85% nel 1997 al 148% nel 2008! In media, un adulto britannico possedeva nel 2006 almeno 4 carte di credito. Essere in debito in GB è normalissimo. Leggiti la seconda parte di questa serie (il Punto 4, sui debiti universitari). E se si considerano i mutui e affitti stratosferici, si capisce perché è considerato totalmente normale per la gente utilizzare credito per pagare nei pub, dal dentista, per fare la spesa. Poi però arriva il punto di non ritorno.
8. Vabbè, ma almeno hanno governi stabili Purtroppo non vale neanche più questa affermazione. Era vero, anzi verissimo, fino a pochi anni fa, che i governi britannici fossero generalmente stabili e duraturi. Ed era almeno questo un tema in cui, innegabilmente, i britannici avevano buon gioco a burlarsi della fama mondiale dei continui cambi di governo e dell’instabilità in Italia. Oggi le cose sono cambiate alla grande. Se nei 27 anni tra il 1979 e il 2016 il Regno Unito ebbe 5 Primi Ministri (Thatcher, Major, Blair, Brown, Cameron), solamente negli ultimi 6 anni ce ne sono stati altrettanti (Cameron, May, Johnson, Truss e Sunak), di cui – e forse è un primato mondiale – addirittura tre negli ultimi tre mesi. Questo non per cause fortuite come decessi o infortuni, ma per continue e profonde crisi politiche che stanno dilaniando il Paese. Solamente 10 o 15 anni fa sarebbe stata inimaginabile l’attuale rissosità di tutto il sistema politico britannico. Le faglie iniziarono con gli scalpiti indipendentisti scozzesi, ma sono poi esplose con il referendum sul Brexit (2016) portando l’intero sistema in fibrillazione con una crisi costituzionale dopo l’altra (tra cui segnaliamo la polemica sospensione del Parlamento nell’Agosto 2019, poi dichiarata illegale dalla Corte Suprema, il dilemma su un nuovo referendum in Scozia, e la crisi permanente in Irlanda del Nord), scandali politici continui, purghe interne ai due maggiori partiti e un clima d’incertezza mai visto prima. Solamente un confronto tra le sessioni della Camera dei Comuni fino a qualche anno fa e quelle post-2016 rivelano un deterioramento spaventoso (e un aumento di aggressività e caos) nel dibattito politico britannico. A parte gli anni tremendi del terrorismo irlandese (quando furono assassinati 4 deputati – tra il 1979 e il 1990), nessun deputato britannico aveva mai sofferto un omicidio dai tempi di Re Giorgio V (1922). Ecco, dal 2016 in poi sono stati uccisi i deputati Jo Cox, (deputata laburista, accoltellata da un fanatico di estrema destra), e nel 2021 David Ames (conservatore, pugnalato da un integralista islamico). Si teme che il clima attuale possa portare ad altri spiacevoli episodi.
9. Si ma vuoi mettere i costi della politica in Italia? Di nuovo, la classe politica italiana non si copre di gloria, ma è stupefacente il continuare a credere che la Gran Bretagna sia un modello da seguire. L’ex PM Liz Truss, in sella solamente per 6 settimana, riceverà ora £115,000 all’anno a vita (a parte lo stipendio da parlamentare e quello accumulato quando era ministra). Un deputato della Camera dei Comuni guadagna attualmente £7000 al mese (l’equivalente di quasi 8000€) più spese. In Italia sono circa 5500€ al mese più spese. Che magari saranno un lusso, ma che non spiegano il vizio italiano di ripetersi tra di loro di essere sempre i peggiori. Il Regno Unito è l’unico Paese occidentale ad avere una delle due camere legislative (la Camera dei Lord) interamente non eletta. Ci sono oltre 800 membri della Camera dei Lord (il numero varia a seconda dei momenti, non esistendo un limite legislativo), per il quale si tratta della seconda camera legislativa più grassa del pianeta (seconda solo all’Assemlea Popolare della Cina), con costi pazzeschi. Ma c’è di più. I membri sono un misto di nominati da successivi Primi Ministri per restituire favori e premiare lealtà. Per capire l’andazzo, tra i 20 maggiori donatori al Partito Conservatore dal 2010, 11 sono stati nominati Lord. E prima che qualcuno inizia gridare destra/sinistra, non è esclusiva dei conservatori. Le cose non andavano certo meglio durante i 13 anni di governi laburisti. Nel periodo 1997-2010, Blair e Brown nominarono 408 Lord. Tra questi figuravano amici di scuola di Blair, ex-compagni di casa dei tempi dell’università, nonché ovviamente i suoi lacchè più leali durante i suoi anni al governo e finanziatori vari del Partito Laburista. Se non bastasse, la Camera dei Lord si completa con 92 duchi, baroni e visconti seduti lí (quando ci vanno, l’assenteismo è endemico) per motivi ereditari, ovvero per privilegi di nascita, e una spruzzata di circa 25 vescovi nominati a vita della Chiesa anglicana. Regno Unito culla della democrazia? Ma fate il favore.
*L’autore Peter Doubt è un traduttore/interprete (spagnolo-inglese-italiano) con doppia cittadinanza britannica e italiana. Ha vissuto in Inghilterra fino ai 29 anni.
La 2ª parte della nostra analisi sui complessi d’inferiorità degli italiani del secolo XXI verso qualsiasi cosa «British» (cibo a parte).Di Peter Doubt*.
L’adorazione italica verso qualsiasi cosa «British» non conosce limiti. Continuiamo con la nostra converseiscion virtuale con l’anglomaniaco medio dell’Italia del sec.XXI.
3. D’accordo, il crimine e gli inglesi ubriaconi, però lí le persone hanno un’educazione molto migliore. Vuoi mettere con le scuole e le università italiane? Di nuovo, i complessi d’inferiorità. Quanti italiani conoscono lo stato fatiscente delle scuole d’oltremaniche? Sanno che per raccogliere i fondi per riparare tetti e finestre è di costume organizzare lotterie e sorteggi a premi («raffles«, le chiamano) tra le famiglie? Per non parlare dei continui episodi di ultraviolenza scolastica riportati con sempre più frequenza, con aggressioni a professori ormai considerate ordinarie, con il risultato che il livello di stress degli insegnanti (e dunque di abbandono della professone) continua ad aumentare di anno in anno? Nel 2016, un’analisi pubblicata dal sindacato Unison, rivelò che il 53% di assistenti educativi («Teaching Assistants«) in Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord ha sofferto aggressioni fisiche da parte di studenti. Nell’Ottobre del 2022, l’associazione dei presidi scolastici ha fatto un appello per fermare l'»esodo» degli assistenti educativi. Un titolo del Guardian riportava: «Assistenti educativi lasciano le scuole per lavorare nei supermercati a causa di stipendi barzelletta«. Nel 2019, uno studio di Education Support indicò che il 78% del personale educativo del Regno Unito soffre di problemi mentali o fisici dovuti al lavoro. Nel 2021/22 la percentuale di abbandono del lavoro da parte di maestri e professori è aumentata del 12,4% rispetto al 2020/21.
4. Sí, ma le università sono ottime. Sono rinomatissime, questo sì. Ma andiamo oltre giudizi superficiali, obsoleti, e distorti. Fino all’anno 1998 le università britanniche erano gratis. Poi – a parte la Scozia – fu introdotta la retta di £1,000 all’anno, per tutti. Nel 2004 il governo di Tony Blair le triplicò (£3000 all’anno), e nel 2010 la coalizione Conservatori/LibDems (questi ultimi dopo aver fatto campagna elettorale promettendo di abolirle) le portò a livelli pazzeschi: £9000 all’anno. Oggi la tariffa annuale è di £9250, cioè circa 10700€ (ve lo immaginate anglomani italiani?). Alla grande maggioranza degli studenti vengono concessi facili prestiti per potersi iscrivere, con quantità facilmente aggiunte per altre spese (per esempio discoteca, feste e compere). Sono cifre senza eguali in nessun Paese europeo. E, con l’eccezione delle rinomate università di Oxford e Cambridge (e determinate facoltà specializzate in altre università), si tratta spesso di corsi di qualità spesso molto discutibile. Ripetere esami nelle università britanniche è praticamente impossibile. A parte l’eccezionale permissivismo, nessuna università – disperate come sono per accaparrarsi quanti più alunni paganti possibili – vuole farsi un cattivo nome con percentuali proibitive di promozioni. In generale per i ragazzi britannici è una esperienza divertentissima. È tradizione andare all’università in un’altra città, con il risultato che, da un giorno all’altro, migliaia di diciottenni o diciannovenni cedono alla tentazione di feste, festini e ubriacate varie (ovviamente finanziate a suon di prestiti e carte di credito, ne parleremo tra qualche giorno), organizzate spesso con tecniche commerciali eccezionali. Uno dei riti consiste nelle ubriacature, risse e vomitate industriali durante la settimana del debutto all’università (Fresher’s Week). L’esperienza accademica del tipico studente britannico è più ClubMed che L’Attimo Fuggente, per quanto agli italiani piaccia pensare ai campus d’oltremanica nello stile un po’ magico e un po’ austero di Harry Potter. Nel frattempo, il risultato consiste in livelli esorbitanti di debiti privati accumulati (che non verranno quasi mai interamente ripagati) che sarebbero inimmaginabili altrove già all’età di 18,19 anni. In Inghilterra, un tipico laureato di 21 anni si trova tranquillamente con £45,000 di debiti sulle spalle. Una prospettiva allettante, per una laurea che probabilmente gli servirà per lavorare al servizio clienti della Vodafone. Nel frattempo, dato che a causa degli esigui redditi dei laureati, 3/4 di questi prestiti non verranno mai ripagati (cifre ufficiali), il buco finanziaro a carico dei contribuenti cresce, alla faccia di chi diceva – quando furono introdotte le tasse universitarie – che non è giusto che sia il cittadino britannico medio a farsi carico dell’educazione universitaria di un giovane.
5. Vabbè, ma io mi riferivo ai servizi pubblici. Lì sono migliori che in Italia. Durante la campagna elettorale del 1997, il Partito Laburista ambiva ad appuntamenti con il medico di famiglia entro 48 ore. Per darvi una idea di come le cose siano peggiorate, guardate la promessa di Liz Truss, durante le elezioni primarie dell’estate 2022, di poter vedere il proprio medico entro un massimo di due settimane. Avete capito bene. L’ambizione attuale è di ridurre l’attesa per un appuntamento con il medico di famiglia a due settimane. Non parliamo poi delle liste d’attesa per specialisti e/o operazioni. Ci sono buone ragioni per le quali il pietoso stato attuale del NHS (il sistema sanitario britannico) da qualche anno formi parte di qualsiasi dibattito politico del Regno Unito. E che dire dei malcapitati ai quali, dopo 6, o magari 9, o anche 12 mesi d’attesa, è toccato un appuntamento con uno specialista (o un’operazione non urgente) in data 19 settembre 2022, giorno del funerale di Elisabetta II? Quanti mezzi di stampa italiani hanno riportato la notizia della cancellazione di tutte le operazioni e appuntamenti medici come segno di rispetto per la monarca? Eppure gli italiani vogliono essere colonia di un Paese dove succedono queste cose.
6. Sì, ma io mi riferivo ai treni. Fatti un giro su un treno italiano. L’ho fatto. In varie occasioni. E in generale non è stata una bella esperienza. Ma almeno non ho speso le cifre esorbitanti che è tipico sborsare per i treni di Sua Maestà per servizi orrendi. Sono ormai pochissimi a dubitare, a destra e a sinistra, che l’operazione svendita di British Rail a metà degli anni ’90 sia stata un fallimento totale. Tra continui ritardi, servizi ridotti, cancellazioni, treni affollati, somme che deve versare continuamente lo Stato per sostenere servizi privatizzati e, soprattutto, biglietti con cifre da capogiro, anche lí l’Italia può stare tranquilla. Non ha nulla da invidiare al Paese della «lingua superiore».
*L’autore Peter Doubt è un traduttore/interprete (spagnolo-inglese-italiano) con doppia cittadinanza britannica e italiana. Ha vissuto in Inghilterra fino ai 29 anni. Vive in Spagna da 15 anni
L’adorazione italica verso qualsiasi cosa ‘British’ analizzata ai raggi X. 1ª Parte. Di Peter Doubt*.
È ovvio che la questione della crescente proliferazione di (pseudo) anglicismi in sostituzione dell’italiano nel secolo XXI abbia chiari risvolti paralinguistici. Basta guardare un qualsiasi giornale o rivista italiana per rendersi conto dell’assurda ossessione anglofila dei mezzi di comunicazione dell’Italia di oggi (e dunque, ne consegue, dell’italiano medio).
Questa serie di articoli si occuperà dei deliri onanistici indotti da qualsiasi cosa abbia origine nel Regno Unito (specialmente in Inghilterra), lasciando per il momento da parte l’ancora più ovvia devozione italica per gli Stati Uniti.
La recente scomparsa a reti unificate della monarca Elisabetta Windsor, al netto del cambio epocale marcato dalla dipartita di un capo di Stato dopo 70 anni, ci ha fatto toccare con mano l’autentica #vogliadiesserecolonia presente in Italia e l’abitudine fin troppo consolidata di elevare a livelli quasi mitici qualsiasi cosa dal vago sapore britannico.
Per qualche ragione, gli italiani hanno deciso – e sembrano farlo in maniera crescente – che persino le scorregge prodotte in Gran Bretagna siano più efficienti, più profumate, più «trendy», più «cool», e più degne di godere di un eco mediatico che erra tra il positivo, il curioso e l’invidioso. Voglia di essere colonia, appunto. Ne è prova il fatto che lo stesso non accada – salvo rare eccezioni – con notizie e avvenimenti da Paesi non anglofili, si tratti di cambi di governo, scandali vari, eventi, famiglie reali e altro. Un esempio scemo? Quando è morta Angela Lansbury, la «Signora in Giallo«, Rete 4 ha fatto il cartello «Grazie, Angela». Non fecero lo stesso quando morì Horst Tappert (l’ispettore Derrick) o persino miti nazionali quali Raffaella Carrà o Paolo Rossi.
E allora. Perché gli italiani considerano il Regno Unito un Paese superiore? Da dove deriva questa attitudine zerbinesca, questa illusione distorta e spesso completamente obsoleta o sbagliata? Si badi bene che questo articolo non ha alcuna pretenzione nazionalista o di presunta superiorità italica. Non è nostro desiderio stilare classifiche tanto puerili come inutili (e tra l’altro soggettive), né negare che problemi di portata enorme siano presenti alla grande – ALLA GRANDE – anche in Italia. Semplicemente chi scrive trova ingiustificati i complessi d’inferiorità italiani verso qualsiasi cosa d’oltremanica.
1. «British» è sinonimo di calma e flemma. Per qualche motivo, gli italiani hanno deciso di non assorbire cognitivamente i livelli industriali di aggressività, teppismo e inciviltà esportati dai britannici durante gli ultimi decenni. Dalla strage dell’Heysel e il fenomeno degli hooligans (inclusi, tra tantissimi episodi, la finale di Atene ’07, gli Europei 2020, o la finale dell’Europa League 2022) alle statistiche sempre peggiori sull’ultraviolenza in stile Arancia Meccanica (ultraviolence e A Clockwork Orange nella versione originale) nei centri urbani del Regno Unito, dal nesso tra abuso di alcol e violenza domestica (vera propria piaga nazionale) alle sempre più frequenti immagini indecorose di casino totale nella Camera dei Comuni, o ai comportamenti da belve selvagge sulle reti sociali, in realtà relazionare la parola «British» a un concetto di calma e comportamenti civili sarebbe come identificare la parola «siberiano» per definire temperature tropicali. Patetico, appunto. Eppure gli italiani lo fanno. Non i tedeschi, non i francesi. Certamente non gli spagnoli, i quali conoscono fin troppo bene i comportamenti «British» dei turisti d’oltremanica (coniando le espressioni turismo da borrachera, turismo da ubriachi, e balconing, per descrivere la condotta idioticamente vandalica da parte di troppi turisti britannici in posti come Mallorca, Ibiza, Salou, Magaluff, Benidorm, ecc). Per qualche motivo, l’italiano medio continua ad associare la gente «British», cioè i britannici, alla bombetta, i gentiluomini e la flemma, non importa quante violenze negli stadi, acidi buttati su vittime da scippo o stupri di poliziotti.
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2. Ma non c’è paragone con il crimine in Italia. Le città britanniche sono tranquille. Io a Luglio sono stato in un villaggio sulla costa della Manica ed era così pacifico! Questo è il problema. Una settimana, due, o tre, da turista in posti da cartolina non rappresenta nulla. Il villaggetto pittoresco, specie se vissuto sporadicamente, non rappresenterà mai la vita quotidiana di un Paese. Né ci si può aspettare che siano giornalisti e corrispondenti vari a mostrarla in maniera esaustiva, dato che troppo spesso vivono (non per colpa loro) in una realtà asettica, privilegiata, al 95% focalizzata nelle zone nevralgiche di Londra, concentrati sulle notizie relativa alla famiglia reale, dibatitti politici, celebrità, attori, e poco altro. Certo, solo un imbecille negherebbe che l’Italia abbia problemi serissimi con la criminalità e con il crimine organizzato, specialmente in certe zone e in certi centri urbani, ma è falso credere che la Gran Bretagna sia un’oasi di pace e tranquillità. Si provi a studiare la realtà in una qualsiasi città britannica, specialmente in determinati quartieri. In ordine sparso, Birmingham, Liverpool, Glasgow, Hull, parti importanti di Londra, Sheffield, Greater Manchester. Tra squallore urbano, violenza quotidiana e gruppi criminali organizzati, da 30 anni a questa parte c’è stato un deterioramento totale della sicurezza nazionale (e certamente della percezione di insicurezza). Non aiuta neanche l’impianto urbanistico tipico delle città britanniche, dato che le numerosissime zone dormitorio (dove si susseguono chilometri e chilometri di file di case senza alcuna vita sociale) sono il canale perfetto per alienazione, isolamento ed episodi di teppismo brutale. Londra a parte (parzialmente), le grandi città britanniche sono caratterizzate da interi quartieri dove negozi, ristoranti, pub, edifici di interesse pubblico e zone di ritrovo sono tutti concentrati esclusivamente in un viale principale (la «high street«) da cui si diramano chilometri di strade, spesso illuminate pochissimo, con case e nient’altro. Il libro «Yob Nation – The Truth About Britain’s Yob Culture» (Nazione teppista – La verità sulla cultura teppistica della Gran Bretagna) dell’autore Francis Gilbert (edizioni Portrait), già nel 2006 analizzava la crescente violenza e brutalità di cui è intrisa in cui la società britannica, a tutti i livelli. Il libro «Tescopoly» di Andrew Simms (2007, Constable) faceva riferimento ai centri commerciali e la grande distribuzione (per esempio la catena di ipermercati Tesco) come ormai i restanti punti focali di «socializzazione» e «calore umano», tra virgolette, in una società britannica sempre più atomizzata e basata sull’isolamento individuale.
[CONTINUA]
*L’autore Peter Doubt è un traduttore/interprete (spagnolo-inglese-italiano) con doppia cittadinanza britannica e italiana. Ha vissuto in Inghilterra fino ai 29 anni. Vive in Spagna da 15 anni
Il passato, le tracce viventi di altre epoche, bisogna disfarsene, non hanno alcun valore, quello che conta è l’immediatezza, la presunta “utilità – di Cristina Di Fino*
Io sono un italiano che a scuola ha studiato francese. Alla mia epoca quella era la lingua da studiare, ma oggi sembra che il vento sia cambiato. Siamo entrati dentro un’altra sfera, dentro un altro mondo. Alla radio ho sentito che, alla festa del paese, vi era un’area di street food, poi dei food tour ad orario, non ho capito. Di solito alla festa di paese ci sono tanti banchi, ma davvero cosa sia questo non so. Dovrò consultare un vocabolario, perché internet non sempre è affidabile, però mi fa sentire davvero inadeguato. Io continuo a comprare le Monde Diplomatique, almeno mi tengo informato su quello che succede, su quella parte di mondo che ancora comprendo.
Io sono uno straniero di prima generazione. A casa mia si parlano tre lingue, io che parlavo ai miei in italiano, mio padre che mi parla in iraniano e mia madre mi parla in russo. A scuola parlo in russo con altri compagni che ne sanno qualche parola, così quando non vogliamo farci capire; una delle mie compagne Olga, è di origine polacca, ha imparato un po’ di russo per parlare con la nonna, che viveva al confine con la Russia. Oggi con i compagni, siamo andati dentro un locale nuovo, per mangiare qualcosa insieme, e non abbiamo capito quasi niente di quello che c’era scritto sul menù. C’erano tre opzioni Vip, Premium e Basic, poi c’era lo starter, il donut, il best price, il veal, e così una valanga di parole che il cameriere non aveva tempo di spiegarci. Siamo usciti allora, e siamo tornati al nostro caro vecchio kebab, almeno lì si può vedere cosa ti portano, e sai cosa mangi, non ti viene il mal di testa.
Io sono cresciuto parlando occitano, quando vado al mercato quasi tutti lo parlano, a volte si intercala con l’italiano. A scuola mi hanno detto che è una delle dodici lingue protette dalla Costituzione. Però, a scuola, non ho mai visto nulla di scritto nella mia lingua. L’altro giorno, i professori ci hanno invitato a consultare i programmi di varie Università, che avevano degli Open Day. Ho pensato che fossero università per stranieri, e invece no, erano tutte in Italia. Chissà se c’è anche un corso di laurea in occitano così come avviene in altri paesi…
Io sono uno dei “rientrati”, non so se mi posso sentire solo un cervello. Sono stato dieci anni negli Stati Uniti, il posto mitico degli italiani che si vogliono fare da sé, la terra delle grandi opportunità, di quelli che cercano una seconda vita. Oggi, sui giornali si parla di mobbing sul lavoro, ma io non capisco cosa significa. Eppure direi che sono quasi “padre”- lingua, perché io sogno anche in americano, ogni tanto mi scappa anche un espressione qui e lì, quando sono sovrappensiero. Ho dovuto chiedere ad un collega cosa significasse, in americano i problemi di persecuzione al lavoro si dicono “harrassment”, mobbing è un movimento di pressione di un gruppo, che può venire da diverse parti della società. Non capisco, ho speso così tanto tempo ad imparare, torno nella mia terra, e questo uso delle parole non ha senso. Io non mi ritrovo più, non sono né più lì ma nemmeno qui.
Se lo studioso Zygmunt Baumann fosse ancora vivo, si metterebbe a capofitto a studiare il fenomeno degli anglicismi nella lingua italiana e sono sicura che in poco tempo riuscirebbe anche a creare una nuova parola per definirlo. Ora la sfida e il testimone passa a qualcun altro per continuare a cercare di comprendere quello che succede. Il fenomeno degli anglicismi sicuramente fa parte della liquidità che caratterizza la nostra epoca, ma che ha lavato via anche il significato. C’è una grande incertezza su cosa significhino questi diluvi di parole importate, e messe lì quasi a caso, a volte a suono, altre volte per vicinanza, altre ancora per moda, spesso anche in mezzo ad una frase. In un mondo dove le regole sono liquide, tutto può ondeggiare a seconda della piena o della marea. Succedono a gran velocità fatti inauditi, come se avessero la forza di un monsone mai visto, che, al pari del cambiamento climatico, è un’estremizzazione così rapida e dal potere dirompente. Ma dove si abbatte questo monsone? Sulla casa in cui si abita, la lingua. Questa liquidità non solo porta via il significato ma anche la lingua. E quindi, oltre ai significati, non si ha nemmeno più la possibilità di crearne di nuovi, perché se si distrugge la struttura in grado di creare senso, ci si ritrova muti, dentro una prigione dove non si può comunicare con l’esterno. Gli allarmi lanciati, ma inascoltati, non sono solo da parte dell’accademia della Crusca. Eppure, come certi dissesti idrogeologici, ancora nulla si è fatto. È una delle tante tragedie annunciate, che sta già mietendo le vittime, tra il grande tasso di analfabeti di ritorno.
La cultura e pratica dello scarto, tipica della nostra epoca, sta inglobando anche la lingua. Non solo oggetti e materiali ancora utilizzabili si trasformano in rifiuti, solo per una decisione del singolo e collettiva, ma la stessa pratica viene adottata come filosofia di vita, quindi è applicata qualsiasi sfera dell’azione umana: le persone, gli animali, le piante, le culture, le lingue. Come nella storia del re Mida, qualsiasi cosa che si tocca si trasforma in inutile, in rifiuto.
Il passato, le tracce viventi di altre epoche, bisogna disfarsene, non hanno alcun valore, quello che conta è l’immediatezza, la presunta “utilità”.
Non si considera che la filosofia dello scarto provoca anche un vuoto, che rimane dopo l’immediato, che lascia il nulla a chi viene dopo. In un film profetico, “La storia infinita”, tratto dall’omonimo libro di Michael Ende, quello che più terrorizzava i personaggi, e letteralmente li inghiottiva, sia fisicamente che internamente, era il “Nulla”, avanzava sempre di più, a meno che non si facesse opposizione. Il mondo poi sarà salvato dalla fantasia. Spero che molte persone, con molta fantasia, siano in grado di creare qualcosa di nuovo, che possa riparare i danni e soprattutto non lasci nessuno come straniero alla propria lingua.
*Cristina Di Fino è una viaggiatrice che ha abitato presso diversi popoli e lingue, ed è da sempre in decrescita felice
Ordinaria comunicazione sulla prima pagina di un importante quotidiano italiano
Frammento di un articolo del Corriere della Sera /Corriere del Veneto: «Mio fratello Niccoló Ghedini, scapestrato in gioventù e insonne di talento», 19/08/2022.
Ci sono milioni e milioni di italiani che non hanno studiato l’inglese, oppure che lo hanno studiato poco, male e/o molto tempo fa. Per queste persone, la stragrande maggioranza di termini inglesi sono comprensibili quanto lo è la lingua ungherese.
Nell’immagine, abbiamo sostituito i termini inglesi usati dal Corriere della Sera, e comprensibili a un numero molto ristretto di lettori, con gli equivalenti in ungherese (lingua che, ci azzardiamo a dire, è sconosciuta virtualmente alla totalità degli italiani) per darvi un’idea di come si sente il lettore medio italiano dinnanzi ai continui schiaffi linguistici che si deve sorbire ogni volta che legge siti internet, giornali o riviste magazine, oppure ogni volta che guarda le notizie news, ascolta pubblicità, va a fare le spese shopping, o utilizza servizi pubblici.
L’incapacità di provare empatia verso milioni di potenziali lettori e utenti da parte di un numero notevole di giornalisti, pubblicitari e politici italiani non è solo stupefacente, ma è elitista da fare schifo.
Quando la preoccupazione di chi parla o scrive non è la comprensibilità per l’interlocutore, ma è invece il voler giocare a fare il figo internescional, sorge un problema grave di esclusione.
In altre parole, l’itanglese (o l’abuso sistematico di anglicismi in italiano) crea problemi di inclusione. Esclude, taglia fuori, discrimina, emargina, mette in difficoltà.
Milioni di italiani che non parlano l’inglese sono discriminatiquotidianamente
Agosto 2022, l’Italia si trova nel pieno di una importantissima campagna elettorale. Ci sono decine di milioni di cittadini e residenti che non parlano l’inglese, oppure che lo conoscono poco e male. Se una di queste persone volesse leggere i titoli dei giornali italiani per documentarsi, capire, decidere, si troverebbe molto in difficoltà.
Guardate l’immagine. Contiene ritagli di quotidiani italiani di tutti i colori: il Corriere, la Repubblica, la Stampa, il Giornale, Libero, Domani, il Manifesto, il Fatto. Si tratta di una brevissima raccoltà. Di esempi ne esistono a centinaia.
Osservate quanti titoli si appoggiano su anglicismi puri e, ne consegue, quanti concetti vengono espressi mandando la lingua italiana in soffitta. Abbiamo coperto le parole (pseudo)inglesi per dare a tutti un’idea di quanto sia difficile, per chi non conosce l’inglese, interpretare ciò che si legge.
In altre parole, per mostrarvi quanto sia esclusivoed escludenteil bombardamento continuo dell’itanglese da parte dei media italiani. Un comportamento discriminatorio particolarmente ipocrita, specialmente nell’era del termine inclusivitàsventolato a vanvera ogni 5 minuti.
Inclusione esclusiva o esclusione inclusiva? Autore: Peter Doubt
Qualcuno riesce a spiegare la logica per la quale sempre più aeroporti d’Italia stanno sostituendo la lingua italiana con l’inglese? La foto qui sopra è dell’Aereoporto di Bergamo, un chiaro esempio di sostituzione, non di bilinguismo. Immaginatevi una delle milioni di persone italiane che non parlano l’inglese. Sono milioni. Magari anche tua madre, tuo padre, tua zia, o te stesso. Se hanno perso una valigia o un oggetto non potranno affidarsi alla segnaletica dell’Aeroporto di Orio al Serio (Milano Bergamo BGY). Saranno svantaggiati perché non capiscono l’inglese nel proprio Paese.
Nella foto sotto c’è poi un esempio del ritiro bagagli nello stesso aeroporto. Tutto completamente in inglese. Chi vi scrive si aspettava che il tabellone alternasse qualche secondo in inglese con qualche secondo in italiano (come è di costume in molti aeroporti europei). E invece, no. Sostituzione totale. Poi però lì fuori è tutto un fioccare di campagne con #inclusion, ovviamente.
Resta da capire perché. Si guadagnano turisti eliminando l’italiano? Esiste un turista che eviterebbe l’aeroporto X o Y perché lì la segnaletica non è in inglese o esclusivamente in inglese? Cosa stanno facendo le autorità italiane alla lingua italiana?
La segnaletica all’Aeroporto di Orio al Serio (Milano BGY) esclude dalla comprensione milioni di italiani.